Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), comunemente chiamato “liquidazione”, è una somma di denaro che il datore di lavoro deve corrispondere al dipendente al termine del rapporto di lavoro, qualunque sia la causa di cessazione (dimissioni, licenziamento, pensionamento).
Il TFR si accantona anno dopo anno durante tutta la durata del rapporto di lavoro.
La quota annuale corrisponde alla retribuzione utile percepita dal lavoratore nell’anno, divisa per 13,5. Tale importo viene accantonato dal datore di lavoro e rivalutato annualmente in misura pari all’1,5% fisso, più il 75% dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo.
Il lavoratore ha diritto a ricevere il TFR:
alla cessazione del rapporto di lavoro, indipendentemente dal motivo;
in casi particolari, può essere richiesto in anticipo (ad esempio per spese sanitarie straordinarie o per l’acquisto della prima casa, a determinate condizioni);
se l’azienda è insolvente o fallisce, il pagamento può essere garantito dal Fondo di Garanzia INPS.
Il TFR rappresenta quindi un diritto certo e inderogabile del lavoratore: il mancato pagamento costituisce una grave violazione, che può essere fatta valere in sede legale.
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un diritto inderogabile del lavoratore, garantito dalla legge italiana. Se al termine del rapporto di lavoro il datore non provvede al pagamento, il dipendente può attivare diversi strumenti legali per ottenere quanto gli spetta.
Prima di agire, è fondamentale verificare che il diritto al TFR sia effettivamente maturato.
Spetta a tutti i lavoratori dipendenti, a prescindere dal tipo di contratto (a tempo determinato, indeterminato, apprendistato).
Deve essere corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il dipendente abbia destinato il TFR a un fondo pensione complementare.
Il primo passo concreto è inviare una richiesta scritta di pagamento, tramite raccomandata A/R o PEC.
Nella comunicazione è bene indicare:
l’importo dovuto,
la data di cessazione del rapporto,
eventuali riferimenti al contratto collettivo o alla normativa (art. 2120 c.c.).
Questa diffida può spesso risolvere la questione senza ulteriori passaggi.
Se il datore di lavoro non risponde o rifiuta il pagamento, il lavoratore può ricorrere a un tentativo di conciliazione:
presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro,
oppure tramite le procedure previste dal contratto collettivo.
La conciliazione è uno strumento veloce ed economico, che può evitare un vero e proprio contenzioso.
In mancanza di pagamento e/o di accordo, resta la via giudiziaria:
Decreto ingiuntivo: se il credito è certo, liquido ed esigibile, il dipendente, tramite il proprio avvocato di fiducia, può chiedere al giudice un’ingiunzione di pagamento rapida.
Causa ordinaria davanti al Tribunale del Lavoro: se ci sono contestazioni sull’importo o sul diritto al TFR.
Entrambe le procedure possono portare a un titolo esecutivo che consente di agire con pignoramenti sui beni o sui conti del datore di lavoro.
Diritto del lavoro Roma e ciampino
Quando il datore di lavoro è insolvente o ha dichiarato fallimento, il dipendente rischia di non ricevere il TFR maturato. Per tutelare i lavoratori in queste situazioni, la legge ha istituito il Fondo di Garanzia INPS, che interviene in sostituzione dell’azienda e assicura il pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità non corrisposte.
Possono chiedere l’intervento del Fondo tutti i lavoratori dipendenti che:
non hanno ricevuto il TFR e le ultime retribuzioni;
hanno cessato il rapporto di lavoro;
dimostrano che il datore di lavoro è insolvente (fallimento o accertata impossibilità a pagare).
Sono esclusi solo i dirigenti e i collaboratori non subordinati.
Per ottenere il pagamento dal Fondo, il lavoratore deve presentare:
un titolo esecutivo (ad esempio una sentenza, un decreto ingiuntivo o un verbale di conciliazione omologato dal giudice);
la prova dell’insolvenza del datore di lavoro (fallimento dichiarato, liquidazione giudiziale, oppure tentativo di esecuzione forzata andato a vuoto nel caso di aziende non fallibili).
Domanda telematica all’INPS: la richiesta va inoltrata esclusivamente online, tramite il portale INPS, patronato o consulente abilitato.
Documenti da allegare:
titolo esecutivo (sentenza o decreto ingiuntivo),
provvedimento di insolvenza o documentazione che dimostri l’impossibilità di recuperare il credito,
dati del rapporto di lavoro e importo spettante.
Pagamento: una volta verificati i requisiti, l’INPS eroga direttamente al lavoratore le somme dovute a titolo di TFR e ultime mensilità.
L’INPS interviene generalmente entro pochi mesi dalla presentazione della domanda. Questo meccanismo rappresenta una tutela fondamentale: il lavoratore non resta privo del proprio TFR anche nei casi più gravi di insolvenza aziendale.
Il diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR) non è eterno: come ogni credito, è soggetto a prescrizione, cioè si estingue se non viene fatto valere entro un determinato periodo di tempo.
Secondo la giurisprudenza consolidata, il TFR si prescrive in:
5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, se il dipendente non intraprende alcuna azione legale per richiederlo.
Il termine decorre dalla data di cessazione del rapporto, e non durante lo svolgimento del contratto, perché il TFR diventa esigibile solo alla fine del rapporto.
Se il dipendente non agisce entro 5 anni, perde il diritto di chiedere giudizialmente il pagamento del TFR, anche se ha maturato regolarmente l’importo.
Per interrompere la prescrizione è sufficiente:
inviare una diffida scritta al datore di lavoro (raccomandata A/R o PEC),
oppure avviare una procedura di conciliazione o causa in tribunale.
Se il rapporto di lavoro è pubblico, possono applicarsi regole differenti (ad esempio con il TFS – Trattamento di Fine Servizio).
In caso di insolvenza e accesso al Fondo di Garanzia INPS, i termini decorrono dalla data in cui diventa definitivo il provvedimento che dichiara l’insolvenza del datore di lavoro.
Molti lavoratori attendono troppo a lungo prima di attivarsi, rischiando di vedere prescritto il loro diritto. Per questo è fondamentale agire tempestivamente, anche solo con una diffida, per interrompere i termini e tutelare le proprie spettanze.
Se alla cessazione del rapporto di lavoro non ricevi il TFR, è importante muoversi subito e con metodo:
Controlla i documenti: verifica l’ultima busta paga, il contratto e il conteggio del TFR maturato.
Agisci tempestivamente: ricorda che il diritto al TFR si prescrive in 5 anni dalla cessazione del rapporto. Non aspettare troppo.
Invia una diffida scritta: una PEC o raccomandata al datore di lavoro può interrompere la prescrizione ed è il primo passo formale.
Conserva prove e comunicazioni: buste paga, contratti, eventuali messaggi o email aziendali possono servire in caso di causa.
Rivolgiti a un professionista: un avvocato del lavoro può valutare la tua situazione e indicare la via più rapida per recuperare le somme.
Lo Studio Legale Fabrizi offre assistenza mirata ai lavoratori che non hanno ricevuto il TFR, mettendo a disposizione competenze specifiche in diritto del lavoro:
Analisi della posizione contrattuale e calcolo del TFR spettante.
Redazione e invio della diffida formale al datore di lavoro.
Assistenza in sede di conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro o tramite le procedure previste dal contratto collettivo.
Promozione di azioni giudiziarie rapide (decreto ingiuntivo o causa ordinaria).
Supporto per l’accesso al Fondo di Garanzia INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Grazie a un approccio chiaro e strategico, lo Studio Legale Fabrizi accompagna il lavoratore in tutte le fasi, con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento pieno dei propri diritti e il recupero delle somme spettanti.
Fax: 06-56561324
Il TFR si prescrive in 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Per interrompere la prescrizione è sufficiente inviare una diffida scritta (raccomandata o PEC) o avviare un’azione legale.
In caso di insolvenza del datore di lavoro, il dipendente può rivolgersi al Fondo di Garanzia INPS, che interviene per coprire il pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità non corrisposte.
Sì, ma solo in casi particolari: per spese sanitarie straordinarie o per l’acquisto della prima casa. L’anticipo può arrivare fino al 70% del TFR maturato, e si può richiedere solo dopo almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro.